BENEFICI dell'Attività FISICA
La sua caratteristica è quella di compiere sforzi ad un ritmo elevato con susseguenti periodi di recupero, sia attivo che passivo, per un dato tempo. Il vantaggio di questo allenamento è quello di riuscire ad ottenere miglioramenti sia nella performance sia nel dispendio calorico in quando si va a massimizzare l’effetto EPOC.
EFFETTO EPOC: Questo termine, EPOC (Excess Post-exercise Oxygen Consumption) indica la differenza tra il volume di ossigeno consumato all’inizio del lavoro e il volume di ossigeno consumato in un tempo uguale ma allo stato stazionario. Al termine dell’esercizio fisico, l’attività metabolica e il dispendio calorico non ritornano ai livelli di riposo, ma rimangono più elevati per un tempo relativamente lungo in base all’intensità e alla durata dell’attività. Il corpo continua a richiedere ossigeno ad un tasso superiore rispetto ai valori basali. Di solito, occorrono al corpo tempi largamente variabili che vanno da 15 minuti a 48 ore, per recuperare completamente i valori allo stato di riposo. Poiché il corpo continua a consumare un surplus di energia dopo l’esercizio, l’EPOC gioca un ruolo supplementare per un programma di allenamento mirato al dimagrimento. Questo dato è particolarmente significativo, considerando che le calorie spese durante l’EPOC provengono prevalentemente dai lipidi. Le evidenze scientifiche suggeriscono che allenamenti cardiovascolari in forma di Interval Training ad Alta Intensità abbiano un effetto più pronunciato sul EPOC. Inoltre, sembra che il resistance training (esercizio coi pesi), cioè un allenamento anaerobico, produca maggiori risposte del EPOC rispetto all’esercizio aerobico.
Il MUSCOLO SCHELETRICO e le Miochine
Il corpo umano consiste all’incirca di 600 muscoli i quali contribuiscono approssimativamente al 40-50% del totale peso corporeo. Il muscolo scheletrico è noto da tempo per essere capace di secernere molecole, in genere metaboliti, che gli consentono di comunicare con tessuti non muscolari. Recentemente, all’incirca da una decina di anni a questa parte, si sono iniziati a caratterizzare alcuni fattori rilasciati dalle cellule muscolari in grado di agire a più livelli: autocrino, paracrino ed endocrino. Questi mediatori, rilasciati dal muscolo scheletrico in attività contrattile e pertanto definiti “miochine”, hanno effetti di vasta portata su tessuti muscolari e non muscolari e perciò possono costituire una connessione molecolare tra la funzione muscolare e l’intera fisiologia del corpo, per cui il tessuto muscolare può essere considerato come un organo endocrino (Schnyder S. and Handschin, 2015).
Il ruolo chiaro dell’IRISINA
L’evidenza emerge da uno studio pubblicato sulle colonne della rivista Nature Medicine, durante il quale i ricercatori della Columbia University, dell’Università di Rio de Janeiro e della Queens University di Kingston hanno prima analizzato alcuni campioni di tessuto cerebrale e poi osservato i cambiamenti nel cervello di alcuni ratti dopo l’attività fisica. A legare i due esperimenti, il ruolo dell’irisina, che emerge come un possibile antidoto al decadimento cognitivo. Dalla prima parte della ricerca, gli scienziati hanno dedotto che l’ormone è presente nell’ippocampo umano e che se ne rilevano concentrazioni inferiori nelle persone colpite dall’Alzheimer. Dalla seconda è invece emerso che l’attività fisica aumenta la produzione di irisina, in grado di proteggere la memoria anche in presenza degli accumuli di beta-amiloide, la proteina che si rileva aggregata in placche nel cervello delle persone colpite dalla malattia.
Osservando i benefici (protezione delle sinapsi e della memoria) che l’irisina aveva nei topi nonostante le «iniezioni» di beta-amiloide, i ricercatori hanno deciso di osare bloccando l’ormone con un farmaco per osservare le conseguenze. L’aver vanificato l’azione dell’irisina ha fatto regredire la memoria dei topi, che nei test hanno evidenziato le stesse performance dei topi che non avevano effettuato alcuna pratica sportiva. Segno che, guardando il rovescio della medaglia, l’aumento dei livelli di irisina nel cervello potrebbe risultare un antidoto contro il decadimento cognitivo, come elemento di prevenzione o come argine a un processo già avviato.